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A scuola di Leadership: l’importanza delle relazioni One to One secondo Robertson Hunter Stewart

Prendersi del tempo per parlare faccia a faccia con ciascuno dei propri collaboratori, così da comprenderne le difficoltà e stabilire nuovi obiettivi, è la scelta migliore che un leader possa fare di questi tempi. A questo tema Robertson Hunter Stewart, coach con una lunga esperienza manageriale alle spalle, ha dedicato anche un libro, intitolato “One to One: Managing quality time with individuals for engagement and success”.

Un libro che è frutto di quello che ormai si occupa da anni l’autore, ossia cercare di istruire le nuove leve di leader e manager:

“Cerco di impedire agli altri di fare gli stessi errori che ho fatto io nel mio lungo percorso manageriale. Perché ognuno di noi commette errori, bisogna però sempre cercare di imparare da quelli fatti”. 

Ci sono tanti sbagli che oggi commettono i giovani manager: ad esempio, affrontare le relazioni con i membri del proprio team con riunioni collettive, che spesso finiscono con l’essere realmente poco costruttive.

“Spesso si sente dire dai giovani manager: parlerò al mio team. Dimenticando che ciascuno di loro è una persona unica. Bisognerebbe invece cercare di spendere del tempo nella conoscenza delle singole persone. Prendiamo ad esempio l’aspetto del delegare compiti e attività: per farlo occorre capire esattamente che competenze possiedono i nostri collaboratori e, soprattutto, comprendere se vogliono effettivamente assumersi questa delega. Di solito in questi casi diamo per scontato che lo vogliono ma non è sempre così. Dobbiamo sempre conoscere desideri e aspirazioni delle persone”.

L’importanza dei one to one

In questo senso l’importanza di colloqui one-to sarebbe fondamentale. Eppure, non sempre questa modalità prende piede in azienda, sia per il poco tempo che i manager vogliono dedicare alle relazioni con i propri collaboratori e dipendenti, sia per il timore dei dipendenti, che magari si aspettano da questi incontri soltanto le classiche “lavate di capo”.

“In tutti i grandi team in cui sono stato, ho sempre dovuto impiegare del tempo nel convincere le persone sull’importanza dei meeting one to one. Per me la cosa più importante era convincere l’executive committee che era estremamente importante organizzare incontri di questo tipo ogni singolo mese. Il punto è poi sempre quello di convincere le persone a mettersi al posto degli altri: se un manager non conosce le condizioni delle persone del suo singolo staff, succede poi che, nel caso di qualche problema con il prodotto o la produzione, non ha poi realmente dietro l’appoggio della sua squadra. Nel mio libro spiego anche perché è fondamentale che siano formalizzate e organizzate a intervalli regolari. Vero è che qualche volta nelle organizzazioni ci si vede singolarmente davanti macchine del caffè, si parla per un po’ del lavoro e del più e del meno. Tutto questo va bene, ma a serve anche organizzare qualcosa di formalizzato, così prendersi del tempo per ascoltare i propri impiegati e poi stabilire degli obiettivi. Così il manager ha la possibilità di comprendere il loro human being, i loro possibili problemi, ecc. In definitiva: senza delle one to one, queste cose non salteranno mai fuori. Eppure, le persone hanno estremo bisogno di essere ascoltate”.

La cura delle relazioni

Ovviamente, l’organizzazione dei colloqui one to one è legata alla più ampia necessità per i leader di avere una estrema cura delle relazioni con i propri impiegati. Necessità che è stata ulteriormente accresciuta dalla pandemia e dall’avvento della tecnologia:

“Spesso alcuni manager sostengono che i clienti sono più importanti dei dipendenti, ma non è assolutamente così: se sei un manager devi essere interessato nel “manage”, cioè nel gestire le tue persone, quello deve essere il tuo principale interesse. Eppure, oggi i sondaggi sulla soddisfazione dei dipendenti sono poco considerati, mentre invece dovremmo dedicarci più tempo. Uno dei maggiori problemi della leadership, che esiste ancora oggi, è che le persone che occupano questi ruoli non sono veramente formate per l’attività di management, perlomeno formalmente, anche se magari sono esperte di uno specifico dominio”.

L’attenzione alla diversità

Un altro tema fondamentale per un leader di questi tempi è l’attenzione alla diversità del proprio team. Un aspetto che Rob Stewart conosce molto bene, avendo lavorato in realtà multinazionali del calibro di Disney:

“La diversità non riguarda soltanto i differenti colori della pelle e le differenze culturali. È più di questo: ad esempio l’età è davvero un fattore importante in un’organizzazione. Le persone giovani hanno in genere molte energie e creatività, mentre le persone anziane hanno più esperienza; dunque, è bene che ci sia un bilanciamento di questo tipo. Ecco perché la diversità è importante, senza essere ossessionati dalle percentuali, tipo 50-50. L’aspetto importante è avere persone diverse nel proprio team.”

Vero che, come ricorda Stewart, quando ci troviamo ad essere tutti uguali in un team il lavoro è più facile perché tendenzialmente si è sempre (o quasi) d’accordo. Il valore aggiunto della diversità all’interno di una squadra è quindi quello di poter guardare la stessa cosa con diversi punti di vista e non c’è niente di più arricchente di ciò.  

Le sfide per le giovani generazioni

Queste e altre sfide devono affrontare le nuove leve di manager, che devono anche far fronte alla grande evoluzione tecnologica e un mondo del lavoro caratterizzato da un lavoro ibrido.

Una delle difficoltà per i giovani leader è la comunicazione, cioè come riuscire a farlo efficacemente, nonostante la tecnologia. Anche quando si fanno dei colloqui one to one virtuali, è importante avere gli stessi principi di quando se ne organizza uno fisico. Occorre innanzitutto ascoltare, senza interrompere gli altri e aspettando che gli altri finiscano di parlare. Questa è una grande sfida per le giovani generazioni: con le nuove tecnologie tutto è diventato molto veloce e orientato all’azione, dimenticando di fermarsi e prendere il tempo necessario per pensare e pianificare. Il continuo cambiamento che ci circonda spinge le persone a essere molto action oriented, ossia pronte e orientate a reagire alle circostanze. Ma qualche volta è meglio ragionare e anche fare qualche passo all’indietro”.

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